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4 ottobre 2006

Roma, 4 ottobre 2006

Roma, 4 ottobre 2006

LXVI Capitolo Generale

Ordine Ospedaliero

di S. Giovanni di Dio

 

Celebrazione eucaristica

 

Omelia del card. Fiorenzo Angelini

 

Letture:   Gal 6, 14-18

Salmo 15

Mt 11, 25-30

 

 

 

             Sono grato al carissimo Priore Generale Fra Pascual Piles dell’invito a presiedere l’odierna celebrazione eucaristica che avviene nel corso del sessantaseiesimo Capitolo Generale del vostro amatissimo Ordine, di cui sono orgoglioso di essere da tempo membro essendomi stata concessa la partecipazione alla vostra “Hermandad”. Una partecipazione la mia non soltanto formale, ma particolarmente diretta e intensa durante i tanti anni in cui, svolgendo il mio ministero nel mondo della sanità e della salute, ho visitato tante istituzioni sanitarie affidate all’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio ed ho avuto tanti Vostri confratelli tra i miei più apprezzati collaboratori. Farne l’elenco sarebbe troppo lungo, ma certamente non potrò dimenticare, tra coloro che non sono più, il Priore generale fra Pierluigi Marchesi, autentico pioniere e “profeta di speranza” per la pastorale sanitaria nel nostro tempo.

 

            Le letture bibliche che abbiamo ascoltato, con il loro riferimento alla croce di Cristo ed a coloro che sono “affaticati e stanchi”, richiamano direttamente il tema di questo Capitolo generale dell’Ordine, che dice: “Passione per l’ospitalità di San Giovanni di Dio oggi nel mondo”.

L’ospitalità non solo come un invito da assolvere, come una scelta discrezionale tra tante, ma come una passione. Un tema molto bello per un Capitolo generale, ma un tema quanto mai impegnativo e che comporta scelte concrete. Direi di più: è un tema il cui significato essenziale non ha bisogno di tanti approfondimenti, di faticosi lavori di gruppo, di lunghe assemblee generali e dell’approvazione di testi prolissi, come troppo sovente accade nelle assise generali degli Istituti religiosi. Il significato esatto di una espressione come “passione per l’ospitalità di San Giovanni di Dio”, cioè di un fondatore, anzi, di un fondatore santo, è intuitivo, poiché è evocativo della dedizione instancabile di San Giovanni di Dio.

Si può discutere sui modi in cui attuare, nel contesto di diversissime situazioni sociali, culturali, religiose, politiche ed economiche, il carisma dell’ospitalità, ma questa stessa organizzazione sarà priva di ogni efficacia se a promuoverla, a sostenerla e ad animarla non sarà “la passione” nel servire chi soffre nel corpo e nello spirito. Problema senza dubbio attuale anche per l’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio presente in tante parti del mondo caratterizzate dalle più imprevedibili diversità culturali, sociali, politiche, economiche e religiose.

            Questo complesso e articolato ventaglio di situazioni rende ancora più necessario ed urgente l’elemento o fattore essenziale ed unitario del vostro apostolato, cioè del come rendere operativo un unico carisma nel più diversificato contesto.

             E’questo elemento o fattore unico è la passione per il malato, non una semplice attenzione, non una sporadica compassione, non una dedizione episodica, ma una passione, un bisogno irrinunciabile, qualcosa di cui non possiamo fare a meno.

            Una delle pagine che maggiormente mi colpì quando lessi molto tempo fa la vita di San Giovanni di Dio del suo primo biografo Francesco De Castro fu quella che riferisce la risposta data dal santo all’arcivescovo di Granada che gli ordinava di allontanare dal suo ospedale “uomini e donne di cattivo esempio” che spesso maltrattavano anche il loro benefattore. Rispose San Giovanni di Dio: “Padre mio e buon Prelato, io solo sono il cattivo, l’incorreggibile ed inutile, che merito di essere scacciato dalla casa di Dio. I poveri che sono nell’ospedale sono buoni, e di nessuno di essi conosco alcun vizio. E poi, giacché Dio tollera i cattivi e i buoni, e ogni giorno fa sorgere su tutti il suo sole, non è ragionevole scacciare gli abbandonati e gli afflitti dalla loropropria casa” ( F. DE CASTRO, Storia della vita e sante Opere di S. Giovanni di Dio (sec.XVI). Trad., Introd. e Note di G. Russotto, Roma 1975, p. 103).

Soltanto l’amore del prossimo come “passione” può spiegare questa grandissima carità. Al santo, come riferiscono le fonti, “si spezzava il cuore” alla vista della sofferenza del suo prossimo, e questa sofferta reazione si trasformava in passione che accendeva quella che il Santo Padre di santa memoria Giovanni Paolo II chiamava la “fantasia della carità”. Questa fantasia, in San Giovanni di Dio, non aveva limiti ed ha spinto un suo biografo a parlare di lui come di un “avventuriero illuminato”.

              In realtà, questo accadeva perché per il Santo, il prossimo sofferente non era un’astrazione, un’idea, ma l’incarnazione di Cristo, per cui il volto del sofferente nel corpo e nello spirito era per lui il Volto di Cristo, come illustrò molto bene il Priore Generale fra Piles in una sua apprezzata lezione tenuta lo scorso anno al IX Congresso Internazionale promosso dall’Istituto Internazionale di Ricerca sul Volto di Cristo.

Egli ricordò, tra l’altro, che le pochissime lettere che si conservano di San Giovanni di Dio mettono chiaramente in luce due concetti guida della sua spiritualità: la dedizione agli altri basata sull’esperienza che per lui “Cristo è tutto” e che la contemplazione della passione di Cristo opera in noi una trasformazione che porta a rendere il bene a chi ci fa del male e a condividere la sofferenza del prossimo, considerata come riflesso della passione di Cristo.

            In altre parole, le Lettere del Fondatore mostrano come per lui il volto del Crocifisso si riflettesse e si incarnasse in quello delle persone malate e bisognose.

            Non si comprendono la vita e l’opera di San Giovanni di Dio disse il carissimo fra Piles - se si prescinde da questa ottica.

        Personalmente, credo che soltanto attraverso quella che chiamerei la divinizzazione della persona che soffre si può giungere alla umanizzazione dell’assistenza ad essa. Ed al riguardo non posso non richiamarmi ad alcune esemplari prese di posizione ed iniziative del compianto ed indimenticabile Fra Pierluigi Marchesi, della cui preziosa collaborazione mi avvalsi per tanti anni.

            Nel 1983 ebbe luogo a Roma l’assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi dedicata al tema “La riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa”. Fra Pierluigi Marchesi era presente al Sinodo nella veste di “Auditore invitato a parlare”.

Rimasto sorpreso e addolorato per il fatto che nessuno dei 197 padri sinodali si era richiamato ai malati e al mondo della sofferenza, nel suo franco e appassionato intervento disse - in forma che qualcuno considerò provvidenzialmente provocatoria -, che se quel Sinodo e con quel tema fosse stato celebrato ai tempi di Cristo, certamente l’assistenza materiale e spirituale agli infermi sarebbe stata il primo e più importante argomento affrontato dagli intervenuti.

Qualche anno prima, nel 1981, in un documento inviato a tutto l’Ordine come Priore generale, fra Pierluigi Marchesi coniò l’espressione “umanizzazione della sanità”, divenuta poi uno stereotipo. Non scrisse umanizzazione della salute, bensì della sanità, poiché nel nostro tempo non è possibile umanizzare la medicina soltanto come prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione per il migliore equilibrio psicofisico della persona, ma urge umanizzare anche tutto ciò che riguarda la politica, la legislazione e la programmazione sanitaria propria di ciascun Paese, cioè quella che noi chiamiamo sanità.

Se, come amava ripetere fra Pierluigi Marchesi con riferimento al proprio Ordine, il malato “è il centro della nostra vita”, il “malato è la nostra università”, l’assistenza e la pastorale sanitaria non sono soltanto un aspetto particolare del servizio al prossimo e dal punto di vista cristiano soltanto un aspetto particolare dell’evangelizzazione. Ne sono l’asse portante. E per chi, come sacerdote o religioso, assolve compiti di servizio esclusivo a chi soffre nel corpo e nello spirito, questo ministero della salute fisica e spirituale è anche l’asse portante della propria santificazione.

            In tanti anni di consuetudine con il mondo della sanità e della salute, quello che ho ricevuto dai sofferenti e, accanto a loro, dall’esempio degli operatori sanitari è stato molto di più di quello che ho dato e che avrei potuto dare.

            Se chi soffre è in qualche modo una incarnazione di Cristo e se il servire chi soffre è servire Cristo come ha detto chiaramente lo stesso Gesù (cfr. Mt 25, 35 ss.) il malato e il luogo di sofferenza e di cura sono davvero “la nostra università”.

Non dimenticatelo in un periodo come quello in cui viviamo, nel quale la tentazione di cambiare

maestri è sempre forte e l’illusione che l’efficienza possa sostituire l’immaginazione alimentata dalla carità conosce quotidiane sconfitte.

Dobbiamo ringraziare dal più profondo del cuore il Signore per lo straordinario progresso compiuto dalla scienza e dalla tecnica offrendo sempre nuovi motivi di speranza nella cura delle malattie più gravi, ma non dimentichiamo le parole di Giovanni Paolo II che si leggono nella Lettera apostolica Salvifici doloris (n. 29): “Le istituzioni sono molto importanti e indispensabili; tuttavia, nessuna istituzione può da sola sostituire il cuore umano, la compassione umana, l’amore umano, l’iniziativa umana, quando si tratti di farsi incontro alla sofferenza dell’altro”. Nell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, la passione dell’ospitalità, dell’accoglienza, della disponibilità, della non discriminazione, del disinteresse appartiene all’anima del singolo religioso e non alla semplice istituzione.

            Vi auguro con tutto il cuore che questa passione accompagni i lavori del vostro Capitolo generale. Chiediamolo in questa Eucaristia. Il biografo di San Giovanni di Dio ci riferisce come nei momenti fondamentali della sua vita la confessione e la comunione fossero il sostegno insostituibile del santo Fondatore. Come azione apostolica nel servizio ai poveri e ai malati, nel suo ospedale, egli incoraggiava la confessione e la comunione dei ricoverati.

              Un’intensa vita eucaristica è parte essenziale dell’eredità lasciata dal Vostro, anzi, dal nostro Fondatore.

  L’odierna memoria di San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia, è un ulteriore invito a riflettere sul mistero della carità, mistero che illumina di una sola ed unica luce tutti i Santi.

La Vergine Santissima, Salute degli Infermi che, non appena concepito Gesù, corse in aiuto dalla parente Elisabetta, sia Maestra di un“servizio” a chi soffre che sia veramente “annuncio del Vangelo”, come lo fu per i primi discepoli, che Gesù “mandò ad annunziare il Regno di Dio e a guarire gli infermi” (Lc 9,1-2). Amen.

 

 



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